Nel panorama della letteratura di montagna colpisce che una delle attività di fatto più praticate (anche nella forma “turistica” o “sportiva”), ovvero lo sci, occupi davvero poco spazio nelle librerie. Eppure il fascino del percorrere le montagne con gli sci, questo “mezzo di trasporto” antichissimo versatile e appassionante, non può lasciare indifferenti. Mancanza di creatività e di capacità narrative degli sciatori? Eccessiva concentrazione sulla performance? Le risposte sono diverse, ma intanto ci possiamo godere le uscite della collana “Lamine” di Mulatero che si specializza nella divulgazione ed editoria del mondo neve (come la rivista di riferimento “Skialper”). Tra queste, due dovrebbero appartenere alla collezione di tutti gli appassionati di alpinismo, scialpinismo e, perché no, di avventura. Stiamo parlando della biografia su Patrick Vallençant, “El Gringo Eskiador” e di quella sull’altoatesino Heini Holzer “La mia traccia, la mia vita” a cura di Markus Larcher. Due capiscuola dello sci “estremo” (oggi si preferisce il termine ripido ma all’epoca i due furono assoluti pionieri di quella disciplina), i cui nomi sono ora incisi tra le pareti delle Alpi.
Quello su Holzer – “La mia traccia, la mia vita” – è un libro costruito sulle tracce che Heini ha lasciato dietro di sé e ben assemblate da Larcher, con diversi contributi esterni (tra cui Messner e Debenedetti). Quella del piccolo Heini è una parabola a suo modo unica: montanaro di piccola statura, ma di grande spirito, dal fisico temprato dal lavoro, umile nella vita come in montagna, Holzer si “inventa” sciatore pur non avendo mai messo gli sci ai piedi fino in età adulta. Da totale autodidatta, ma sostenuto da una forza morale ferrea, Holzer impara la tecnica e trasporta la sua visione sulle grandi pareti di ghiaccio dove di fatto inventa una disciplina, quella dello sci estremo. Vulcanico, irrequieto, forse invidioso per i successi che arridono a tanti suoi compagni (come Messner) fuori dall’Europa, Holzer fa della sua modestia un punto di forza. In totale autonomia e spesso in giornata – dovendo districarsi tra lavoro e famiglia – compie discese memorabili e tuttora di riferimento. Holzer trova nello sci la sua dimensione e la sua realizzazione, e da talentuoso scalatore (spesso al capo della corda di Messner) diventa un pioniere dello sci ripido, muovendosi con quella istintività e spesso ingenuità che lo caratterizzava. Il libro è una narrazione composita, quasi che si sia cercato di ricostruire – attraverso il ricordo di chi lo conobbe e i suoi non molti scritti – un personaggio fin troppo umile e remissivo, ma nel quale bruciava la volontà di emergere ed affermarsi.
Totalmente diverso il profilo di Vallençant. Il francese è, al contrario di Heini, uomo di mondo, dal carattere più estroverso per quanto anch’esso molto ambizioso. Vallençant nasce lontano dalle montagne, ma le desidera fortemente così da farne una scelta di vita. A differenza di Holzer non è un alpinista talentuoso, ma completo e soprattutto determinato e visionario: Vallençant intuisce nello sci una possibile evoluzione dell’alpinismo, trasportando sulle grandi pareti di ghiaccio del Bianco e delle Alpi Occidentali una disciplina totalmente nuova: lo sci ripido. “El Gringo Eskiador”, soprannome affibbiato a Vallençant dopo le sue memorabili prime discese in Perù, è un libro coinvolgente, che riprende integralmente la biografia originale “Ski extrême, ma plénitude” e contributi di diversi esponenti dello sci come i compagni di Vallençant (tra tutti Anselme Baud), Giorgio Daidola e le memorie dei figli Gael e Yannick.
Due libri diversi che vale la pena leggere, per conoscere la storia di una disciplina appassionante, adrenalinica, elitaria e intrisa di avventura e romanticismo come lo sci ripido, che troppo spesso viene veicolata solo attraverso video e riprese spettacolari. Ma che sa parlare anche in profondità.