Vent’anni fa, il 14 settembre 2002, ci lasciava improvvisamente a 71 anni Gino Buscaini, alpinista, andinista, cartografo, illustratore, scrittore, curatore per trent’anni della collana Guida dei Monti d’Italia, esploratore delle Ande Patagoniche con 22 spedizioni, 70 ascensioni di cui 43 prime assolute. Noi della Società Alpina Friulana lo ricordiamo in particolare per la monumentale guida Alpi Giulie Cai-Tci, che curò, scrisse e illustrò personalmente con disegni bellissimi delle cime, dei rifugi.
Silvia Metzeltin, sua moglie e compagna di scalate e impegni editoriali, gli dedica oggi un testo che ci invia nel giorno dell’anniversario. Una riflessione che parla di libertà, prima che di alpinismo, natura, donne, cambiamenti climatici. Illuminante e provocatoria fino in fondo. Libera, come libero era Gino e come lei desidera che sia ricordato.
Grazie Silvia, ti abbracciamo e siamo felici di condividere il tuo e il suo ricordo, e le tue parole belle e sincere, che ci interrogano e ci sollecitano. Perché ogni ricordo è vivo e utile se parla al presente. Tu lo fai, e noi lo facciamo nostro.
Con un forte abbraccio
La Società Alpina Friulana
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NELLA VITA
“L’alpinismo è un altro mondo” ma è parte della vita, non solo titolo di un libro
di Silvia Metzeltin
Dedico queste righe a Gino in condivisione ideale,
a vent’anni dalla sua scomparsa
da quando non è più il primo a leggermi
Con gratitudine per il lungo cammino insieme
e inutile rimpianto profondo
per ciò che ancora sarebbe stato
14 settembre 2022
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Entrando nel vissuto delle donne, l’idea era di licenziare un libro di alpinismo che però uscisse con nuovo respiro dalla nicchia degli introdotti al mondo della montagna. Invece il libro ci è rimasto dentro e non circola nelle librerie non specializzate. Nel progetto di radunare con Linda Cottino una scelta di miei articoli, pubblicati lungo il filo degli anni sul tema della donna in montagna, le intenzioni sono deragliate lungo le “disposizioni covid” e la buona collaborazione amichevole ha finito per approdare al CAI: fortuna per concretizzare la stampa, sfortuna per trovarsi quest’ultima coinvolta nel periodo buio delle vicende elettorali della Sede Centrale.
Se avessi previsto una pubblicazione per l’ambito del CAI, avrei richiamato anche qualche aspetto dell’emarginazione femminile al nostro interno, che non andrebbe obliterato nella storia associativa. Avrei puntualizzato la indegna strategia del CAAI per escluderne le donne negli Anni ‘60, con la minacciosa lettera di pressione ai soci “occidentali” da parte dell’allora presidente Ugo Di Vallepiana prima dell’assemblea di Verona. Avrei anche spiegato quanto umilianti fossero decisioni abituali del tipo “il gruppo roccia non presta la corda a una cordata femminile”, nella fattispecie a me e Tona Sironi nel 1959. Avrei però sottolineato anche altro, non solo che in seguito parecchio – non certo tutto – è cambiato, ma che nello stesso ambito del CAI ci sono state personalità e dirigenti che hanno difeso e appoggiato una parità femminile nella passione alpinistica, tra cui Soravito, Mila, Buscaglione. Nel mio caso, per il contributo negato dal Consiglio Centrale alla spedizione 1967 in Patagonia della XXX Ottobre “perché tra i membri c’è una donna”, il generoso presidente della sezione Duilio Durissini sborsò di tasca sua il contributo mancante per causa mia.
Nel mio consuntivo personale, le luci disperdono comunque le ombre e sono grata per ciò che ho ricevuto. Se proseguo nell’espormi per la causa delle donne, è per coerenza , sperando di dare un per quanto minuscolo contributo a qualche riflessione sui diritti umani. Diritti di tutti, ma partendo dalle donne.
Rimandiamo l’apocalisse
Già che ci siamo, riprendo anche l’altro mio vecchio cavallo di battaglia, quello della libertà di pratica dell’alpinismo e dell’accesso libero alle montagne su propria responsabilità personale. La battaglia è tra Davide e Golìa, o magari confrontando Galileo a Canossa con Giordano Bruno al rogo; nell’attualità, c’è da riflettere sul senso di ogni nuovo “stato di emergenza” gestito con imposizioni di controlli e divieti, e ciò anche sui monti per quanto ci riguarda.
Adesso, pure il cambiamento climatico è un’occasione d’oro per fomentare la politica di ansia collettiva e per applicare “messe in sicurezza”, “denunce contro ignoti”, per propinare sorveglianza con app digitali, multe, tasse, recinzioni, su qualunque spazio di natura. Non intendo negare un riscaldamento del clima del pianeta, né sminuire l’impatto di uno sviluppo tecnologico dove è sfuggito di mano. Tuttavia mi pare ragionevole togliere al contesto lo stigma dell’apocalisse. Nell’interesse generale, ma anche per poter ancora andare autonomi in montagna per libera decisione con le nostre gambe e soprattutto con la nostra testa.
Poiché l’alpinismo di qualunque livello non è solo attività sportiva, bensì un movimento culturale multiforme, che ha una sua storia e una sua letteratura, che include ricerca geografica e scientifica e non da ultimo avventura esplorativa sul terreno, ritengo che da alpinisti sia utile tener presente il suo contesto naturale. Così merita tenere presente l’incidenza di oscillazioni climatiche storiche più recenti sulle Alpi, anche senza rimandare a studi sui cicli climatici dell’intera Storia della Terra e le rispettive glaciazioni.
Durante il Medio Evo, all’incirca tra 800 e 1300, ci fu un periodo caldo e secco, definito “optimum climatico medievale” (per differenziarlo da altro lungo “optimum” precedente più significativo intorno al 4’500 a.C. in cui fiorirono le civiltà del Medio Oriente). Durante l’optimum medievale, sulle Alpi ci fu una retrocessione importante dei ghiacciai e conseguente penuria di acqua, mentre gli alpeggi si spostarono a quote più elevate. Qualche vantaggio pascolivo per il bestiame, lo sci estivo non c’era ancora, alti valichi divennero facilmente percorribili. I montanari seppero gestire la penuria con ingegno e costruirono ardue condotte per convogliare le acque che scarseggiavano: c’è di che restare affascinati da quelle costruzioni che ancora si possono ammirare, specialmente sui versanti assolati di valli longitudinali come nel Vallese, dove si denominarono “bisses”. Verso il 1500 il clima tornò più fresco, fino a diventare tanto gelido da
venire definito “Piccola Età Glaciale”. Non ne sappiamo esattamente la causa: probabilmente si sovrapposero diverse ciclicità astronomiche con anomalie particolari, come un minimo di tempeste magnetiche sul sole, e così pure il rinforzo di enormi eruzioni vulcaniche con estati piovose poco assolate. Ne conosciamo però gli effetti: carestie, epidemie, recessione economica, rivolte sociali, crollo delle nascite, vie marittime bloccate da invasione di ghiacci che isolano la Groenlandia, mentre gelano i canali della laguna di Venezia. Succede ciò che ci propongono i testi scolastici e la letteratura, ma che ben di rado lo inquadrano in un cambiamento climatico.
Qualcuno ci guadagna sempre anche quando le cose vanno male: ebbene sì, un’abbazia benedettina francese seppe trarne profitto per mettere sul mercato un vino con le bollicine, e dal preoccupante blocco della fermentazione dei lieviti per il freddo nacque lo Champagne. Le foreste, fonte essenziale di legname da riscaldamento e costruzione, vennero distrutte ovunque, ma in particolar modo sulle Alpi. Se oggi lamentiamo lo scioglimento dei ghiacci sul Monte Bianco, nel XIX secolo le loro lingue scendevano fin sul fondovalle di Chamonix, basta guardare i dipinti d’epoca.
Intorno al 1850, il clima si rimette a temperature via via più miti e poi alte, e prosegue con oscillazioni lievi. Sono gli anni in cui nascono i governi nazionali, i club alpini, i servizi forestali per rimboschire il patrimonio distrutto. Però il cambiamento climatico innesca altro sconquasso ambientale: facile pensare alle alluvioni, alle sacche di acqua di fusione dei ghiacciai che si svuotano d’improvviso; nel gruppo del Monte Bianco, un deflusso enorme travolse con numerose vittime un albergo a Mégève e la sacca del ghiacciaio rimane monitorata da allora. A livello mondiale, nel 1859 una tempesta geomagnetica incendiò uffici telegrafici e interruppe le comunicazioni. Diciamo che proprio tranquilli non c’è da stare mai, anche se intanto abbiamo imparato a coltivare i nostri boschi, mentre purtroppo non abbiamo smesso di distruggere quelli altrui, né di fare guerre e di applicare senza criterio le conquiste tecnologiche. Insomma, se l’apocalisse arriverà in anticipo, prima della nostra estinzione di Homo sapiens per evoluzione naturale, ce la stiamo andando a cercare, non per colpa del clima in sé, ma per la nostra dabbenaggine nel non saperne gestire con perspicace modestia la parte a nostra disposizione.
L’utilità dell’inutile
Mutuo il titolo del delizioso volumetto di Nuccio Ordine, per applicarlo all’alpinismo in senso tradizionale esteso, cioè considerando, come “ab antiquo”, quale alpinista ogni individuo che va sui monti per proprio gusto, passione e scelta non comandata. Salire montagne in questo senso è attività del tutto inutile per il PIL, ma può essere utile su altri piani. Piani filosofici individuali, che negli anni, senza determinazione previa, possono perfino assumere una valenza sociale.
Un alpinismo, passione di libera scelta, abitua al rischio implicito nelle decisioni personali, rischio che non è solo quello di farsi male o di lasciarci le penne, ma quello di altro possibile prezzo da pagare, perché del tutto a gratis nella vita non c’è nulla e l’alpinismo si configura come tipo di scelta di vita.
Per comprenderne le implicazioni, ci vuole spesso un po’ di tempo, ma poi ci si arriva senza ricercarlo. Si intuisce che alla Natura, alla montagna, noi non importiamo proprio niente; siamo noi umani che ne abbiamo bisogno per vivere e che quindi dobbiamo sfruttarne le risorse con intelligenza, indipendentemente dalle convinzioni con cui vogliamo interpretarla. Ci si rende conto, piaccia o no, che il pianeta Terra ha una sua dinamica propria e che, benché tutti gli esseri viventi, tra piante, uomini e animali, contribuiscano a trasformarla, la Terra vada avanti per conto suo.
In questa complessità cosmica, dinamica e tanto più grande di noi, ognuno può tuttavia cercare di stabilire qualche punto fermo nella vita e trovarvi un senso, per sé e per la comunità umana. Sono alpinista e geologa.
Da geologa, posso riconoscere e apprezzare meglio la ricchezza multiforme dell’ambiente naturale, e avendo giocato con le astrazioni e incertezze dei tempi geologici, mi torna ovvio accettare che anche le montagne nascano e spariscano secondo un proprio ciclo. E che fatalmente si erodono, franano, anche sotto i nostri occhi e i nostri piedi, con eventi microscopici e a volte accelerati. Più cerco di capirlo, più posso agire nel contrastare oppure facilitare gli eventi.
Trasferendo da geologa- alpinista queste conoscenze sui monti, riconosco anche dove il progresso tecnico diventa autolesionismo, per esempio costruendo infrastrutture e abitazioni in luoghi inadatti, promuovendo sempre più luna-park per i turisti e alberghi in quota, e che nell’insieme vada ripensata e adattata l’economia montana. Che il modello invalso vada
ristrutturato per il benessere stabile degli abitanti e non a beneficio di sfruttamento selvaggio per il guadagno di pochi. In difesa di conquiste reali non solo tecniche, ma sociali e politiche.
Con ciò, arrivo al mio essere alpinista, alla sua essenza di scelta di stile di vita, che implica il coraggio delle scelte stesse. Le quali, contrariamente a quanto di norma si ritiene, finiscono per avere una valenza che trascende la filosofia individuale: l’inutile diventa politicamente utile. Difendere la libertà di frequentare la montagna e l’ambiente naturale in genere, per propria scelta, a proprio rischio e pericolo, sta andando oltre una esigenza individuale di ingenui libertari appassionati. Può essere ritenuto responsabile delle proprie azioni solo chi è libero di sceglierle. Rivendicare la libertà di circolazione individuale significa riferirsi ai Diritti dell’Uomo, a conquiste sociali e politiche. Ben venga la tanto “inutile” passione alpinistica se mi apre gli occhi sul fatto che si calpesti una Costituzione democratica quando si emettono ulteriori “situazioni di emergenza” anche per i sassi che cadono dove ci va chi non è comandato … se mi incoraggia a denunciare, a sostenere che l’interesse reale per le popolazioni di montagna consiste in buoni servizi sanitari e scolastici, e in una buona rete stradale, quella sì da mantenere sotto controllo, e non la velleità di inseguire con divieti chi vuole andare su e giù per i monti.
Naturalmente, intendo provocare riflessioni. Magari un po’ estreme. Appartengo a una insignificante minoranza di pensiero, ma da alpinista impenitente desidero contribuire a ritardare l’apocalisse, se non quella lontana presumibile nell’evoluzione, almeno quella prossima strumentalizzata dai politici, nell’affrontare le due sfide fondamentali che attendono la nostra intelligenza e il nostro coraggio: quella tecnico-scientifica e quella socio-politica – salvando la libertà concreta.
Silvia Metzeltin, 14 settembre 2022
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Oggi, 14 settembre 2022, alle 18 e 30 italiane, Gino Buscaini sarà ricordato con una diretta dal Cile, condotta dalla biblioteca di Aysén, a Coyhaique, in dialogo con Silvia Metzeltin, per chi vorrà partecipare, basta collegarsi cliccando il seguente link
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