“Conosco Marco Milanese da qualche anno. È alpinista, guida alpina e tanto altro. Uno di quei giovani fuori di testa ma con la testa molto a posto. Mi piacciono (forse perché portano ricordi) quei ragazzi che praticano sport estremi, pericolosi, folli, in maniera spontanea, naturale, senza darsi arie né montare in scanno. […] Invidio questi giovani liberi nel vero senso del termine. Partono e vanno, punto. Se intendono realizzare un’impresa, anche la più assurda, la fanno e basta. O su o giù. Agiscono […] nella maniera più naturale, discreta, con umiltà e senza squilibri di tromba o rintocchi di campane. Battono le ore delle loro esistenze in silenzio, come le meridiane. Ogni tanto giungono voci, si viene a sapere o da quello o da quell’altro ciò che hanno combinato questi giovani talenti. E vi assicuro, c’è da rimanere senza fiato.”.
Così scrive Mauro Corona nella prefazione di “Volare le Montagne. Di linee, equilibri e altre libertà”, il libro di Marco Milanese pubblicato per i tipi di Ediciclo. Udinese, classe 1987, laureato in Scienze Forestali a Padova, Marco è stato giocatore professionista di rugby e dal 2012 è guida alpina. Come maestro di alpinismo lavora in tutta Italia, dedicandosi in particolare ai bambini e ai ragazzi. Dal 2013 pratica nel tempo libero highline, paracadutismo, parapendio, speedride e BASE jumping. Oggi si dedica al volo con la tuta alare e fa parte del team internazionale Phoenix Fly.
Se c’è una cosa di cui si parla tra queste pagine, che non siano monti, rocce o voli, è di libertà.
Il libro si apre con il racconto di un’impresa unica che risale all’agosto 2018: la salita e la discesa in 5 ore e 40 minuti delle Tre Cime di Lavaredo, che Marco porta a termine nello stile “più puro che si possa immaginare, senza corde e chiodi, usando mani e piedi, testa e cuore”. Sale le cime arrampicando e le scende lanciandosi “come un’aquila”.
È dalle Tre Cime che tutto prende forma. Con il padre Stefano, suo primo maestro, Marco scala lo spigolo Dibona a diciott’anni. Poi prende al volo la palla ovale e con il rugby acquisisce basi e regole per la sua futura carriera sportiva, arrivando a giocare in serie A. Dedica l’inverno allo sci e all’arrampicata su ghiaccio. All’università di Padova matura la consapevolezza che la città non fa per lui, mentre le scienze forestali gli aprono la via per conoscere e leggere in profondità la natura in cui si muove. Approfondisce l’arrampicata e se ne innamora: capisce che quella passione è ciò che lo spinge verso la libertà. “Non è solo un’attività sportiva, è molto di più: sfida con se stessi, avventura, creatività”.
Marco vive con la costante necessità di confrontarsi con sé stesso e con la natura, con la voglia di mettersi alla prova, di imparare, di conoscere e superare i suoi limiti. Scopre come l’arrampicata possa diventare un atto creativo nell’ideazione e nel compimento di una linea nuova su una parete. Aprendo un itinerario inedito lascia la sua firma, una piccola traccia del suo passaggio. Vive la libertà nella consapevolezza che ciò che fa è “socialmente inutile”.
Quando Marco acquisisce il titolo di guida alpina, le sue passioni diventano un lavoro. E, un’evoluzione dopo l’altra, raggiunge nuovi equilibri: emerge in lui la voglia di esplorare la montagna in modo diverso, e mantenendo l’arrampicata come cardine, comincia a vedere intorno a sé “non più solo pareti da scalare, ma picchi da connettere”. In punta di piedi, entra nella tribù della highline, attività da cui ricava energia pura per il pensiero. L’impegno mentale richiesto dalla camminata su fettuccia lascia il posto al vuoto, a una nuova evoluzione e al sapore di un’altra libertà. Marco scopre il brivido e il gusto del salto con la tuta alare e le Dolomiti diventano canali da volare. “Ho sempre pensato che i cassetti dei sogni prima o poi vadano aperti, che se i sogni rimangono là prendono la muffa, diventano vecchi e noi con loro, e poi svaniscono dentro la clessidra dello scorrere inesorabile del tempo”.
Rincorrere un sogno può però rivelarsi rischioso. In montagna ci si scontra con molti limiti, alcuni prevedibili, altri meno. Sentirsi sicuri è pericoloso, avere paura è fondamentale. A volte si cammina in bilico tra la vita e la morte, ed è solo accettando un certo residuo nella gestione del rischio che si trova il giusto equilibrio tra pericolo e soddisfazione.
L’originalità del libro di Milanese risiede nella sua stessa storia, nel coraggio di condurre una vita diversa, di conquistare un’alternativa a ciò che è canonico e scontato, e cucirsela su di sé. Marco apre nuove vie in parete e nella realtà, disegnando la libertà con sapienza e determinazione. Per usare le sue stesse parole: “Faccio quello che amo, ho deciso di prendermi la libertà di rincorrere un sogno e di saltare nel vuoto. Ma dietro ci sono studio, impegno, preparazione, mai improvvisazione.”
(ofelia libralato)